«Gino Conti», «Stanko»: ancora oggi Alfredo Bonelli ricorre frequentemente agli pseudonimi, o meglio ai nomi di battaglia, della sua giovinezza per presentarsi all’interlocutore. Può sembrare civetteria, o la fissazione di un vecchio che vede incise nel cristallo di due nomi le due esperienze vitali della sua esistenza, quelle a cui affida il compito di interpretarne il senso e trasmetterne il valore fondamentale: «Gino Conti», e cioè la Resistenza, l’organizzazione clandestina del Comitato di Liberazione Nazionale e del Partito Comunista in Ciociaria, «Stanko», e cioè la militanza internazionalista in Jugoslavia, l’opposizione antitoista, la formazione a Fiume, in nome dell’ortodossia, di una cellula comunista schierata contro il maresciallo partigiano, scomunicato nel 1948-49 da Stalin e dal Cominform. In Ciociaria dall’ottobre del 1943 al marzo del 1944, in Jugoslavia dal novembre del 1948 alla fine del luglio del 1950, infatti, Bonelli cerca di apporre una sorta di timbro personale sulla sua vicenda di militante comunista e di «rivoluzionario di professione» scegliendo di andare incontro da solo, invece che confuso nell’anonima e disciplinata falange del suo partito, alla Storia. Compie, si potrebbe insinuare, per due volte un atto di superbia: cede alla tentazione di un peccato che, tanto nella mitologia cristiana come nell’ideologia del comunismo terzinternazionalista, ha il significato di un’individualistica, e perciò insopportabile, affermazione di identità. Continua a leggere