memoria, sociale

Esserci o non esserci al lavoro, una questione di strategia

A metà degli anni ottanta, un giovane sociologo, Fabrizio Carmignani, affrontò il tema dell’allora (e tuttora) interminabile e irrisolvibile contenzioso sull’assenteismo operaio (con i sindacati, ovviamente, sotto tiro) cambiando prospettiva: interroghiamoci, scrisse, non sull’assenteismo ma sul presenteismo, sulle ragioni per le quali i lavoratori vanno al lavoro o non su quelle per le quali si assentano. In questo modo, indagando sulla presenza arriveremo a capire meglio anche l’assenza. Ne scrissi su Rassegna Sindacale, ripubblico l’articolo perchè questo metodo – il cambio del punto di osservazione e l’esercizio dell'”immaginazione sociologica”- servirebbe anche nei discorsi di oggi e ci aiuterebbe ad andare oltre i luoghi comuni.

Assenteismo? È questo il problema? O il vero problema non è piuttosto il “presenteismo”, e cioè il perché si va al lavoro (magari anche quando ci si sente poco bene) e non il perché ci si assenta? Mi rendo conto che, detta così, sembra una provocazione, ma forse quando leggiamo sui giornali sdegnate cronache dello scandalo dei giovani che rifiutano il lavoro, cambiare il punto d’osservazione aiuterebbe a capire, a modificare l’approccio, ad arrivare a qualche motivazione vera, fondata, complessa (non solo, dunque, salari ridicoli e lavori precarissimi), neutralizzando in partenza le insopportabili sfuriate demagogiche di chi sta al caldo e vorrebbe mantenere gli altri al freddo. Occorrerebbero analisi serie, anche correndo il rischio di arrivare a conclusioni non gradite, spiacevoli, quelle analisi che i sociologi facevano quando era merce corrente il coraggio di guardare la realtà e non le sue finzioni.

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Ritratti, viste e sentite

Scherzi totiani

Gianni Toti, conosciuto come fondatore della poetronica, è stato, lungo le sue moltepici vite, giornalista e direttore di “Lavoro”, settimanale della Cgil voluto da Giuseppe Di Vittorio, negli anni cinquanta del secolo scorso, Fu una sfida all’insegna dell’innovazione, della creatività, della ricerca di un modello popolare vincente nella stampa italiana, capace di coniugare impegno e tempo libero. Intervistai Gianni Toti trentasette anni fa, oggi – come presidente dell’Associazione Gottifredo – custodisco il suo Fondo librario e archivistico.

Si possono anche chiamare scherzi del destino, ma in realtà a determinarli, questi scherzi, c’è sempre una ragione più o meno nascosta, una traiettoria della vita di ciascuno che non può che andare in quel modo, secondo una necessità che a un certo punto del tragitto si rivela inevitabile.

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memoria, Ritratti

I perciatellini di Pietro

“Pietro e Alatri”, un ricordo sulle amicizie e sulle riviste che PietroTripodo “frequentò”  nella cittadina ciociara, dove per alcuni anni operò una piccola casa editrice, l’Hetea, che pubblicò un testo raro di Giuseppe Gioachino Belli, una rivista dell’avanguardia artistica con un numero speciale dedicato a Pizzuto, zeppo di inediti, e un libro di saggi su Tommaso Landolfi. Adesso Pietro viene ricordato con una masterclass dell’Università di Cassino e dell’Associazione Gottifredo.

Pietro cominciò a frequentare Alatri, dove si sarebbe costruito una fitta rete di amici ed estimatori, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, quando incontrò a Roma, al collegio del Nazareno, del cui istituto scolastico annesso furono ambedue istitutori, Raffaele Manica che me lo presentò. Non ricordo se lo incontrai per la prima volta ad Alatri o a Roma – in una trattoria nella quale discutemmo dello spessore più adeguato delle fettuccine e della nobiltà, per Pietro insuperabile, dei perciatellini del rinomato pastificio abruzzese di Fara San Martino. Ricordo questo particolare perché, riflettendo sulla nostra amicizia, quando ne erano potuti restare solo il ricordo e il vuoto, sono arrivato alla conclusione che l’oggetto delle conversazioni per Pietro non fosse mai innocente, casuale; e che lui piuttosto si ingegnava, al primo contatto, a  fermarsi su un argomento innocuo, che non facesse correre il rischio di discussioni troppo accese e da cui, anche il perdente della controversia dialettica, potesse ritirarsi senza danno e il rancore che avrebbero pregiudicato i rapporti successivi.

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viste e sentite

Un Maestro del sacro, nella provincia ciociara

Antonio da Alatri, il pittore alatrino operante alla metà del secolo XV prima a Roma sulla scia dell’insegnamento di Gentile da Fabriano e Antonio Pisanello, nella fabbrica di San Giovanni in Laterano, e poi qui da noi nella sua “bottega” che formò i pittori le cui tracce, riconducibili al suo inconfondibile “vocabolario” stilistico,  incontriamo ancora oggi nei dipinti murali delle nostre chiese, cerca la modernità volgendosi al passato: individua nell’astrazione dello spazio senza marcature regolari, sciolto dalle scansioni della prospettiva, il segno inequivocabile della presenza del sacro e la misura del tempo dentro il quale si  celebra la sua epifania.

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Il pozzo delle nostre paure

Ho sempre avuto paura dei laghi. Nella camera da pranzo della minuscola casa di mia nonna, che nel ricordo è una specie di labirinto in miniatura cresciuto lungo un corridoio che mi sembrava lunghissimo e tortuoso e invece – a guardarlo da adulto – era di pochi metri, c’era affissa la riproduzione di una barca isolata in uno specchio d’acqua agitato, tratteggiato con quelle che nell’originale dovevano essere pennellate di un azzurro fosco, cupo, che io identificavo con il lago di Canterno. A questo lago, e al suo nome che mi suonava minaccioso, associavo la storia, che mi era stata narrata, di un ragazzo del mio paese  che vi era annegato qualche tempo prima che io nascessi. Per anni ho evitato accuratamente di partecipare alle gite sul lago per Ferragosto o, più frequentemente, per il giorno di Pasquetta che la comitiva dei miei coetanei organizzava con spensieratezza, nemmeno sospettando che solo l’ipotesi della scampagnata mi avrebbe provocato inquietudine e malumore. Come se recandomi in quel luogo, che pure a tanti evocava il mistero degli incontri amorosi dell’adolescenza oppure gli impegnativi convegni di coppie più adulte, delle cui esercitazioni erotiche sentivo favoleggiare sotto voce, andassi a provocare lo spirito mai placato del giovane che era stato aspirato da un vorticoso mulinello, affiorato all’improvviso dalla profondità limacciosa dell’acqua, preda di una forza violenta che gli aveva rubato tutte le promesse della vita.

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Senza categoria

I giorni di Libertà

Una storia politica, accaduta localmente ma che contiene i medesimi tratti di quella più ampia che negli stessi anni sta accadendo nell’intero paese. Siamo nel novembre del 1943, un gruppo di giovanissimi cattolici, sotto l’ala protettrice del Vescovo di Alatri, stampa con il ciclostile dell’Azione Cattolica, il primo numero di “Libertà”, il foglio che darà voce alla sparuta ma combattiva resistenza che si organizza in questa parte della provincia di Frosinone.

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autoritratto

Il povero Piero

Quello che mi sorprende, rileggendo il servizio che curai per “Rassegna Sindacale” (siamo nel settembre del 1983) alla notizia della morte di Piero Sraffa, il grande economista, amico e leale interlocutore di Gramsci nel periodo in cui il fondatore del Pci fu recluso nelle carceri fasciste, è il “tono” del box con un titolo che giocava un po’ – in modo che adesso mi sembra troppo disinvolto – sul ricordo del romanzo di Achille Campanile “Il povero Piero”. Allora, fresco di nomina, ero caposervizio cultura del settimanale della Cgil, diretto da Francesco Cuozzo, un giornalista che sarebbe approdato da lì a qualche anno alla redazione dei telegiornali della RAI. E il direttore, che improntava la sua linea politico-editoriale sulla denuncia delle “arretratezze” della sinistra (non credo che all’input fosse estranea la volontà di Luciano Lama, al tempo segretario generale della Cgil, proprietaria del periodico) mi aveva chiesto di capire perché Sraffa, del quale al momento della scomparsa tutti ammettevano la grandezza scientifica e l’importanza culturale, fosse stato fino a quel momento un “dimenticato”.

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libri e polemiche, memoria

Stéphane Grappelli. In una torre, la conclusione del suo viaggio

L’autobiografia di Stéphane Grappelli, il più grande violinista jazz del Novecento, è stata tradotta (dalla giornalista Paola Rolletta) e finalmente pubblicata in italiano. Si tratta di una coedizione tra l’Associazione Gottifredo – che ha acquistato i diritti dalla prestigiosa casa editrice parigina Calmann Levy – e Ottotipi, un editore romano specializzato in critica e storia della musica. Un “appassionante memoir” di viaggi, incontri, concerti che raccontano la favola di un ragazzo povero che grazie al suo strumento arriva alla celebrità, senza dimenticare le sue origini che cerca per tutta la vita e ritrova ad Alatri, una piccola città della grande provincia italiana. La mia postfazione.

Ad Alatri, a poche decine di metri dal suo monumento più importante, l’Acropoli preromana cinta dalle mura ciclopiche, c’è la torre Grappelli. Fa parte di un edificio che le pubblicazioni turistiche, a segnalare lo sviluppo e il compimento delle sue originarie evidenze medievali, definiscono il più elegante esemplare dell’architettura cinquecentesca dell’edilizia civile cittadina. Si confondono, però, e si impantanano nel vago quando passano a descriverne con esattezza la storia e la proprietà e, soprattutto, quando si ingegnano a spiegare se il nome dato alla torre si riferisca a una famiglia che ne abbia goduto il possesso, come verrebbe spontaneo supporre. L’incertezza è provata perfino dalla voce che al palazzo e alla torre viene dedicata da “wikipedia”, l’enciclopedia on line, redatta dal “basso”, che rievoca una rinascimentale famiglia Patrassi  e cita, qualche riga dopo senza chiarire il nesso, quella dei marchesi Grappelli da cui si fa discendere, attraverso il padre Ernesto, dicendolo nativo di Alatri, il grande Stéphane, nato a Parigi ma dunque con qualche goccia, o anche più, di sangue ciociaro.

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memoria, Ritratti

“Quel Gino Conti sono io”

«Gino Conti», «Stanko»: ancora oggi Alfredo Bonelli ricor­re frequentemente agli pseudonimi, o meglio ai nomi di batta­glia, della sua giovinezza per presentarsi all’interlocutore. Può sembrare civetteria, o la fissazione di un vecchio che vede inci­se nel cristallo di due nomi le due esperienze vitali della sua esistenza, quelle a cui affida il compito di interpretarne  il senso e trasmetterne il valore fondamentale: «Gino Conti», e cioè la Resistenza, l’organizzazione clandestina del Comitato di Liberazione Nazionale e del Partito Comunista in Ciociaria, «Stanko», e cioè la militanza internazionalista in Jugoslavia, l’opposizione antitoista, la formazione a Fiume, in nome del­l’ortodossia, di una cellula comunista schierata contro il mare­sciallo partigiano, scomunicato nel 1948-49 da Stalin e dal Cominform. In Ciociaria dall’ottobre del 1943 al marzo del 1944, in Jugoslavia dal novembre del 1948 alla fine del luglio del 1950, infatti, Bonelli cerca di apporre una sorta di timbro personale sulla sua vicenda di militante comunista e di «rivo­luzionario di professione» scegliendo di andare incontro da solo, invece che confuso nell’anonima e disciplinata falange del suo partito, alla Storia. Compie, si potrebbe insinuare, per due volte un atto di superbia: cede alla tentazione di un peccato che, tanto nella mitologia cristiana come nell’ideolo­gia del comunismo terzinternazionalista, ha il significato di un’individualistica, e perciò insopportabile, affermazione di identità. Continua a leggere

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memoria

Luigi Pietrobono, un critico controcorrente

Luigi Pietrobono. Dal “Centro al Cerchio”. Un viaggio controcorrente nell’Universo della Commedia. Con un convegno e una Mostra abbiamo ricordato il sessantesimo anniversario della morte di Luigi Pietrobono, l’insigne dantista nato  e vissuto per lunghi periodi ad Alatri. Questa è l’introduzione con cui ho aperto l’incontro di giovedì 27 febbraio. Il primo atto di un programma che avrà i suoi momenti più importanti nel 2021, anno dantesco. Intanto la colonna sonora della Mostra è data – grazie a un audio conservato presso l’Istituto Centrale dei Beni sonori e audivisivi, riprodotto per questa occasione – dalla voce di Pietrobono che legge i Canti della Commedia. 

 

Ringrazio le Autorità presenti e le Istituzioni che rappresentano per la partecipazione al nostro Convegno, promosso insieme dal  Comune di Alatri, l’Associazione Gottifredo, l’impresa sociale – scuola di lingua italiana “Io studio Italiano” con il patrocinio dell’Università per  Stranieri di Perugia, la Società Dante Alighieri e con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, partner di tutte le iniziative più rilevanti dell’Associazione e del Coworking Gottifredo, una struttura dell’Associazione a cui si deve l’ideazione e  l’organizzazione della giornata di oggi.

Un saluto particolare mi sarà concesso rivolgere a Padre Angelo Celani direttore dell’Istituto San Giuseppe Calasanzio di Roma, padre Scolopio che ci ricorda con la sua presenza il legame – anche nel nome di Pietrobono – della nostra città, della nostra città degli studi, con i Padri Scolopi e la ricca e benemerita attività educativa che Essi hanno svolto e svolgono.

La nostra Città ha ricordato negli anni  più volte padre Luigi Pietrobono. Preparando la giornata di oggi, ho potuto accedere alla documentazione dei convegni e delle celebrazioni svolte nel passato, su iniziativa della nostra amministrazione comunale e del Liceo Pietrobono. Continua a leggere

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