Adesso si chiamerà Ria, reddito per l’inclusione attiva; due anni fa era stato battezzato con un meno impegnativo Sia, sostegno per l’inserimento attivo, l’estate scorsa un gruppo di trenta associazioni, che sembravano aver trovato buona udienza e ascolto tra addetti ai lavori e decisori (diciamo così) politici, aveva proposto Reis, reddito di inclusione sociale, diciassette anni fa, quando venne attuato per la prima volta a livello sperimentale, fu definito Rmi, reddito minimo di inserimento. Insomma ogni stagione, ogni governo, a volte più volte lo stesso governo sentono il bisogno di mettere mano al nome, alla sigla come primo passo per varare quella misura generale di contrasto alla povertà che l’Europa ci chiede da tempo e che da noi continua a non farsi, anche per la buona ragione che per disporre delle risorse sufficienti a generalizzarla ci sarebbe bisogno di azzerare prima la miriade di mini-misure (cosiddette categoriali, per dirla con gli specialisti) che fanno del nostro paese il più confusionario e inefficace, tra quelli della casa comune europea, nella lotta alla miseria (eccezion fatta, naturalmente, della Grecia e del Portogallo che con noi fanno parte dell’ormai gergale e dispregiativa locuzione, entrata nella vulgata giornalistica, che definisce i più arretrati nel campo).
Monthly Archives: settembre 2015
Garanzia giovani. Per chi?
Oggi ho ascoltato il racconto di un ragazzo di ventisette anni, reclutato da una pizzeria con il progetto Garanzia Giovani, il quale da che doveva imparare a fare le pizze è stato messo per due mesi a lavare i piatti, ricevendo poi il ben servito nel momento in cui ha rivendicato, con la mitezza e l’educazione che gli si leggono in faccia, la formazione nel tipo di lavoro per cui era stato chiamato. Per di più il datore di lavoro non gli ha voluto certificare con la propria firma le ore svolte, sia pure nella mansione non prevista, con ciò impedendogli di percepire il compenso stabilito dalla legge e garantito da fondi regionali.