A metà degli anni ottanta, un giovane sociologo, Fabrizio Carmignani, affrontò il tema dell’allora (e tuttora) interminabile e irrisolvibile contenzioso sull’assenteismo operaio (con i sindacati, ovviamente, sotto tiro) cambiando prospettiva: interroghiamoci, scrisse, non sull’assenteismo ma sul presenteismo, sulle ragioni per le quali i lavoratori vanno al lavoro o non su quelle per le quali si assentano. In questo modo, indagando sulla presenza arriveremo a capire meglio anche l’assenza. Ne scrissi su Rassegna Sindacale, ripubblico l’articolo perchè questo metodo – il cambio del punto di osservazione e l’esercizio dell'”immaginazione sociologica”- servirebbe anche nei discorsi di oggi e ci aiuterebbe ad andare oltre i luoghi comuni.
Assenteismo? È questo il problema? O il vero problema non è piuttosto il “presenteismo”, e cioè il perché si va al lavoro (magari anche quando ci si sente poco bene) e non il perché ci si assenta? Mi rendo conto che, detta così, sembra una provocazione, ma forse quando leggiamo sui giornali sdegnate cronache dello scandalo dei giovani che rifiutano il lavoro, cambiare il punto d’osservazione aiuterebbe a capire, a modificare l’approccio, ad arrivare a qualche motivazione vera, fondata, complessa (non solo, dunque, salari ridicoli e lavori precarissimi), neutralizzando in partenza le insopportabili sfuriate demagogiche di chi sta al caldo e vorrebbe mantenere gli altri al freddo. Occorrerebbero analisi serie, anche correndo il rischio di arrivare a conclusioni non gradite, spiacevoli, quelle analisi che i sociologi facevano quando era merce corrente il coraggio di guardare la realtà e non le sue finzioni.
Fu a metà degli anni ottanta, per esempio, che un giovane sociologo, Fabrizio Carmignani, allievo di Aris Accornero, principe dei sociologi del lavoro, affrontò il tema dell’interminabile e irrisolvibile contenzioso sull’assenteismo operaio (con i sindacati, ovviamente, sotto tiro) cambiando prospettiva: interroghiamoci, scrisse, non sull’assenteismo ma sul presenteismo, sulle ragioni per le quali i lavoratori vanno al lavoro o non su quelle per le quali si assentano. In questo modo, indagando sulla presenza arriveremo a capire meglio anche l’assenza. Carmignani andò sul campo – la società che gestiva i vagoni letto dei treni italiani, dove i tassi di assenza erano notevoli e soprattutto in grado di paralizzare il servizio –, compilò questionari, parlò con i diretti interessati, i lavoratori sotto accusa, elaborò una teoria che mise nero su bianco in un libro che a me sembra fondamentale ancora oggi per insegnare un metodo che sappia proiettarci un po’ più in là delle chiacchiere da bar che si incontrano non dentro i bar, come si vorrebbe,ma sulle pagine di tanti autorevoli giornali. Il libro di Fabrizio Carmignani venne pubblicato dall’editore Angeli con il felice titolo “Assenteismo e presenteismo. Due strategie del comportamento operaio”: strategie, appunto, razionali, che esigevano risposte altrettanto razionali, non tiritere moralistiche. Era il 1984, ne scrissi, intervistando l’autore e raccontando il suo saggio, su Rassegna Sindacale, dal cui archivio elettronico ho copiato le pagine che trovate nelle immagini allegate a questo post.
Qualche anno dopo, invitai Fabrizio Carmignani – che intanto, per Il Mulino, aveva pubblicato con Accornero “I paradossi della disoccupazione” – a collaborare con una sua rubrica fissa al settimanale, dove egli, perciò, continuò a offrire dati e punti di vista inediti che la Cgil (un sindacato che la sua verità ha sempre saputo raccontarla, senza nascondersela – come riconobbe sul Foglio Giuliano Ferrara, parlando di altri dati – una analisi senza tabù del voto operaio leghista) seppe sempre accettare, anche quando sembravano smentire le sue politiche. Non ricordo quando, come e perché finì la collaborazione. Né ho avuto più notizie di Fabrizio. Se mi legge, spero si faccia sentire. Mi farò dire da lui che succede davvero all’interno del mercato del lavoro giovanile del nostro paese e dei nostri tempi.


