Antonio da Alatri, il pittore alatrino operante alla metà del secolo XV prima a Roma sulla scia dell’insegnamento di Gentile da Fabriano e Antonio Pisanello, nella fabbrica di San Giovanni in Laterano, e poi qui da noi nella sua “bottega” che formò i pittori le cui tracce, riconducibili al suo inconfondibile “vocabolario” stilistico, incontriamo ancora oggi nei dipinti murali delle nostre chiese, cerca la modernità volgendosi al passato: individua nell’astrazione dello spazio senza marcature regolari, sciolto dalle scansioni della prospettiva, il segno inequivocabile della presenza del sacro e la misura del tempo dentro il quale si celebra la sua epifania.
Questa la conclusione di una complessa, appassionante indagine condotta da Mario Ritarossi per dare un nome – un nome inaspettato e importante – all’autore dell’affresco raffigurante il Battista, collocato sulla parete di destra di San Francesco, in Alatri, nell’area antistante il presbiterio, in una posizione che esalta la parola dell’omelia con una parenetica eloquente e ammonitrice.
Mario Ritarossi avvia la sua ricerca attratto da una sfasatura del piano del dipinto, da una sovrapposizione inspiegabile per cui la mano più antica sembra imporsi, illogicamente, a quella più recente, cui si deve la contigua teoria di santi dai tratti che si ispirano – quanto poco appropriatamente, Ritarossi lo lascia solo intendere – all’egemone umanesimo quattrocentesco.
Il ritratto di San Giovanni Battista, figura eponima della vigorosa polemica oratoria dei padri conventuali, sintetizzata nella missione che la trascende nella potenza di una voce che squarcia, con la sua profezia, l’abbacinata, metaforica, incredula sospensione del deserto delle anime, sembrerebbe precedente, ma il piano della parete increspato al rialzo attesta che è posteriore, che lo straordinario pittore che lo ha concepito e realizzato è giunto dopo, sconvolgendo il rassicurante avvicendarsi delle scuole e il loro succedersi senza ripensamenti.
Questa è la premessa, la dissonante anomalia da chiarire, la chiave interpretativa per affrontare il quesito più importante: chi sia questo Maestro che sembra attardarsi in una sua personale nostalgia ma che è tanto potente, colto, raffinato, sicuro nella tecnica, da escludere che la sua torsione al passato sia una fantasia privata, o la irrisolta tensione con il cambiamento del gusto e dell’aspettativa pittorica del tempo a lui presente. L’analisi stilistica che porta alla “scoperta”, alla clamorosa conclusione che l’elegante, altero ma cordiale (carattere non secondario dell’omiletica francescana), San Giovanni Battista della chiesa di San Francesco sia di mano diretta del più grande pittore che abbia operato nelle nostre zone, e non solo – e cioè, quell’Antonio da Alatri autore del Trittico del Redentore, l’unica sua opera autografa – Ritarossi la conduce con straordinaria perizia, attingendo dal bagaglio inesauribile – ancora una volta in modo da sorprenderci fino all’ammirazione commossa – delle sue conoscenze pittoriche.

Il suo studio diventa una finissima attività di raffronto tra il “testo” accertato e quello che egli attribuisce all’artista: la “triquetra” dell’orecchio, il taglio dell’occhio, la fissità straniante della luce, la radice del pollice della mano ben tornita, il tratteggio della barba, i grafemi delle due iscrizioni. Il risultato esclude ogni dubbio e rivela un episodio della dialettica artistica e ideologica che, in questa nostra piccola città, proietta l’ombra della grande contesa dell’arte avviata alla rinascenza e si concentra sull’essenza, sulla natura del sacro e sulla sua rappresentabilità. “Un Maestro del Sacro” è una nuova conferma che Ritarossi esercitandosi sulla microstoria della pittura della periferia romana riesce a raccontarci una storia più vasta, dimostrando, senza tema di contestazione e smentita, che il centro è dovunque lo si sappia trovare.